Trivelle animali: i sistemi di perforazione sviluppati dagli icneumonidi
Gli icneumonidi sono una famiglia di imenotteri (come le comuni vespe) della quale al momento sono state descritte oltre 24000 specie diverse, ma si stima che ne possano esistere almeno 60000.
La loro fama è dovuta ad una loro abitudine un po’ macabra. Gli icneumonidi adulti, infatti, depongono le loro uova all’interno di larve che vengono paralizzate grazie ad un particolare veleno secreto da speciali ghiandole poste nella parte terminale dell’ovopositore. Questo veleno ha la particolare funzione di mantenere la larva immobile ma vitale, in modo da permettere alle uova di svilupparsi completamente fino alla fuoriuscita delle larve che possono a loro volta trovare a disposizione un banchetto di carne fresca che permetta loro di raggiungere il completo sviluppo.
Le controverse abitudini riproduttive degli icneumonidi sono state uno dei principali incentivi nel portare il padre dell’evoluzionismo Charles Darwin a mettere in discussione un’entità divina che potesse accettare una pratica tanto macabra.
Ciò che rende così interessante a livello meccanico questi insetti è che il loro ovopositore è in grado di raggiungere larve a diversi centimetri di profondità trapassando il legno di alberi coriacei. Il funzionamento di questo ovopositore ricorda infatti uno strumento a noi noto: un impianto di perforazione molto simile a quelli usati per prelevare gli idrocarburi dai terreni.
A differenza dell’utilizzo umano, queste trivelle naturali sviluppate dagli icneumonidi (anche se sarebbe più corretto parlare appunto di impianti di perforazione) vengono utilizzate per perforare il legno di alberi molto duri fino a raggiungere le larve di insetti che si nutrono del legno stesso all’interno delle quali gli icneumonidi depongono le loro uova, parassitandole.
Non tutte le specie di icneumonidi sono in grado di perforare il legno, alcune si limitano infatti a deporre le uova all’interno o sulla superficie di altri insetti che vagano liberamente in natura, ma alcune specie del genere Megarhyssa possono penetrare fino ad una profondità di 14 cm!!!
Ma come funziona questa tecnologia naturale?
Il parassita percepisce la presenza delle larve all’interno del legno grazie alla percezione data dalle sue antenne e rilevando le vibrazioni nel tessuto xilematico. L’ovopositore di Megarhyssa è più lungo della stessa vespa – misura quasi 10 centimetri – ed è altamente flessibile. Questo tubicino viene inserito attraverso diversi centimetri di legno per poi iniettare le uova nell’ospite designato.
Nel momento in cui viene fatto penetrare nel legno, l’ovopositore diffonde anche spore del fungo Daedalea unicolor che favorisce il marciume e il decadimento del tessuto legnoso dell’albero. In questo modo risulterà più semplice per le larve sviluppate fuoriuscire dal tessuto legnoso.
L’ovopositore appare come un’unica cannula, ma in realtà comprende diverse componenti. Il filamento centrale è l’ovopositore vero e proprio, in grado di perforare il legno. Anche questo elemento, nonostante appaia ad occhi inesperti come un singolo filamento, è composto da due parti che presentano una punta tagliente. Bloccandosi e scorrendo l’una sull’altra sono in grado di penetrare sempre più in profondità.
I due filamenti più esterni sono le guaine che proteggono l’ovopositore e sono in grado di sporgersi lateralmente durante la deposizione delle uova, aumentando il lume del dotto stesso.
Nello specifico, questi movimenti che permettono la deposizione coinvolgono il dispiegamento di speciali membrane poste tra i vari segmenti dell’ovopositore (dotate di una superficie interna secretoria) unito alla rotazione di alcuni particolari segmenti dell’addome.
Durante questa rotazione, lo stilo dell’ovopositore spinge ed estende completamente le membrane che, come un risultato, formano un disco traslucido che raggiunge i 2 cm di diametro. L’entrata dello stilo in legno è inoltre aiutata da un’altra secrezione litica prodotta da ghiandole poste sull’estremità dell’ovopositore in grado di degradare le fibre del legno.
Come funziona invece una trivella costruita dall’uomo?
Innanzitutto è utile distinguere tra trivella e impianto di perforazione: mentre la prima può scavare fori solamente in terreni o substrati morbidi, per scalfire rocce e sedimenti più duri è necessario un impianto di perforazione.
Il funzionamento di quest’ultimo è molto più simile a quanto sviluppato dagli icneumonidi di cui abbiamo parlato, in quanto utilizza un tubo centrale sormontato da una punta perforatrice che con l’aiuto di un fluido penetra in profondità fino a raggiungere il sedimento desiderato.
L’impianto di perforazione è generalmente formato da una torre a traliccio con altezza anche maggiore di 50 metri, che regge una serie di aste di acciaio poste in posizione verticale e all’estremità delle quali è posto uno scalpello di perforazione che permette di frantumare ogni tipo di roccia.
Per aiutare la perforazione, così come gli icneumonidi secernono una sostanza litica, negli impianti di perforazione umani viene pompata una miscela a pressione definita “fango di perforazione” che permette di raffreddare lo scalpello, fungere da “tappo” per evitare che risalgano liquidi incontrati nei diversi starti perforati e permettere una valutazione da parte dei geologi dei frammenti riportati in superficie.
Solitamente una perforazione può essere profonda da qualche centinaio di metri fino a circa 7 – 8 chilometri, numeri ben più grandi di quanto, al momento, non siano in grado gli insetti perforatori.