L’ILVA: Problematiche ambientali e peso economico del colosso dell’acciaio
In questo articolo ci si ripropone di affrontare il tema dell’ex-ILVA di Taranto, sotto il punto di vista economico-ambientale, portando riferimenti oggettivi e concreti all’attenzione del lettore.
In tal senso si voglia fornire al lettore, non frasi di circostanza, bensì una visione ampia sul problema del suddetto impianto di produzione dell’acciaio.
Da dove parte la storia dell’ILVA
ArcelorMittal o dai più nota come ex ILVA di Taranto ha una storia travagliata.
Il progetto di quella che sarà una delle maggiori industrie siderurgiche italiane del XX secolo, nacque nei primi anni del ‘900 per iniziativa di industriali del settentrione d’Italia, come ILVA (nome che ha poi riacquistato dagli anni Novanta).
Nel 1921 scoppiò una nuova crisi siderurgica, causata da una ripresa delle esportazioni americane. Le acciaierie italiane erano indebitate per costruire impianti sovradimensionati, perciò soccombettero. Il valore di listino dell’ILVA crollò. In questa situazione la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano, le maggiori creditrici dell’azienda, ne rilevarono la proprietà assieme a quella di numerose imprese siderurgiche minori.
In seguito alla crisi del 1929, anche la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano entrarono in crisi e, insieme a tante altre aziende, dovettero essere salvate dallo Stato, attraverso l’IRI. Così anche l’ILVA e tutte le altre imprese possedute dalla Banca Commerciale passarono in mano pubblica.
A fine anni ottanta, nel periodi di crisi del mercato dell’acciaio, ebbe diverse traversie economico-finanziarie, giunse nel 1983 alla liquidazione volontaria, cambiando il nome in Nuova Italsider. Fu ristrutturata nel 1989 rinascendo con il nome di ILVA, che assorbiva anche la Finanziaria dell’IRI, la Finsider. Infine fu rilevata, nel 1995, con l’originario nome di ILVA, dal gruppo siderurgico Riva.
Nel 2012 una vasta inchiesta per reati ambientali e di inquinamento (“Fabbrica fonte «di malattia e morte» scrivono i giudici”) porta la Procura di Taranto ad ordinare il sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo. Per salvaguardare lo stabilimento e l’occupazione, lo Stato ha avviato la procedura di commissariamento dell’azienda e avviato una gara internazionale per una riassegnazione della stessa (2013).
Nel novembre 2018 diventa ufficialmente di proprietà di ArcelorMittal e prende il nome di ArcelorMittal Italy: le vecchie insegne vengono tolte.
L’ILVA oggi
L’ILVA di Taranto è un impianto mastodontico, copre una superficie stimata di circa 15,45 km2 e sorge a ridosso del quartiere Tamburi, tristemente famoso per i dati relativi alla salute dei suoi abitanti. Per dare un’idea della grandezza di questo impianto è stata riportata una cartina di Roma, con la divisione dei quartieri della Capitale. Ecco, se dovesse sorgere a ridosso del quartiere Nomentano, coprirebbe la superficie dei rispettivi quartieri: Tiburtino(3,7 km2), Prenestino(6,0 km2) e Pietralata(5,97 km2). Una piccola città all’interno della capitale insomma.
L’ILVA ad oggi è il polmone siderurgico italiano, con un fatturato di circa 4 miliardi USD ( facendo riferimento all’anno 2018). Si occupa della produzione di acciaio da materia prima (polveri di minerali), sfruttando degli altoforni. A differenza di molti altri stabilimenti che impiegano forni elettrici per il recupero dell’acciaio e non la produzione ex-novo. Questo vuol dire che l’Italia, se perdesse l’ILVA (leader mondiale per la produzione dell’acciaio), sarebbe costretta ad importare tonnellate di acciaio dall’estero a costi molto maggiori rispetto a quelli relativi all’autoproduzione in seno al territorio pugliese.
Peso economico dell’ILVA sul pil italiano
Se lo stabilimento ex Ilva venisse chiuso, con il conseguente azzeramento della produzione di acciaio — ossia la perdita di 6 milioni di tonnellate a regime, la perdita sarebbe di circa 24 miliardi di euro. È quanto emerge da un’analisi econometrica dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, commissionata dal Sole 24 Ore. Dal momento che nel 2017, secondo i dati Istat, il Pil italiano era stimato intorno ai 1.725 miliardi di euro, la chiusura dell’ex-ILVA e il blocco della produzione avrebbe un valore pari a circa l‘1,4% del PIL. Considerando che l’Italia nell’anno 2018 ha avuto un tasso di crescita che non si è avvicinato neanche all’unità, perdere una risorsa come l’ILVA sarebbe disastroso per il sistema Paese.
La Qualità dell’aria del quartiere Tamburi
Prima di analizzare la qualità dell’aria del quartiere Tamburi, sembra doveroso riportare i limiti di legge per quanto riguarda gli agenti inquinanti. Per essere a norma di legge la concentrazione in aria dei principali inquinanti ( PM10; C6H6; H2S; NO2) deve rispettare i limiti sotto indicat:
Limiti PM10:
Giornaliero 50 μg/m3 da non superare per più di 35 gg. all’anno
- Annuo 40 μg/m3
Limiti Benzene:
- Concentrazione limite 5 μg/m3
Limiti H2S:
- Concentrazione limite 10 μg/m3
Limiti NO2 :
- orario 200 μg/m3 da non superare per più di 18 volte all’anno
- annuo 40 μg/m3
Di seguito sono riportati i valori rilevati da ARPA Puglia nell’anno 2018:
Black Carbon (ng/m3): Il Black Carbon (BC) si forma in seguito a combustione incompleta di combustibili fossili e biomassa; può essere emesso da sorgenti naturali ed antropiche sotto forma di fuliggine. Il parametro relativo al BC totale in aria ambiente non è normato.
Per completezza bisogna però dire che, sebbene sia privo di regolamentazione, la dannosità del Black Carbon si può ricondurre alla sua natura fisica di nanoparticella ed al fatto
che grazie alla sua elevata superficie specifica è in grado di veicolare all’interno dell’organismo
umano sostanze quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i metalli.
Dal punto di vista normativo va rilevato che la comunità scientifica internazionale sta discutendo le
modalità di definizione di nuovi standard di qualità dell’aria in relazione alle frazioni più fini del
particolato, le nanoparticelle appunto, attualmente non normate, a differenza del particolato in
massa, PM10 e PM2.5, cui si riferiscono gli attuali valori limite.
A seguito di numerosi studi che hanno rilevato un rapporto di causa-effetto, tra la mortalità prematura e l’esposizione al BC. Sebbene esso non abbia alcun effetto sul sistema cardiovascolare, sia per esposizioni brevi (24h) che per esposizioni di lungo periodo ( 1 anno ).
Confronto emissioni centrale a carbone di Civitavecchia (Lazio)
Se mettessimo a confronto la qualità dell’aria del quartiere Tamburi a quella di Civitavecchia (che sorge nei pressi della centrale termoelettrica ENEL: “Civitavecchia Torrevaldaliga Nord”), noteremo che i valori di emissioni (PM10 ed NO2 rilevati nell’aria), sono quasi del tutto compatibili (tutte le grandezze sono in μg/m3) .
Questo non vuol dire che la qualità dell’aria di Civitavecchia e Tamburi siamo di ottima qualità, ma sta ad indicare come l’ILVA, per quel che riguarda l’emissione di inquinanti al camino, sia a norma di legge e in linea alla media delle emissioni degli impianti del sistema Paese Italia.
Il reale problema dell’ILVA
Escluso il problema al camino, le cause della pessima qualità dell’aria del quartiere Tamburi vanno ricercate nei parchi minerari e nella mala gestione a cui sono stati soggetti in tutti questi anni.
Tale problema in realtà è noto da anni, tanto è vero che dal 2013, quando l’ILVA divenne “cosa pubblica”, i commissari incaricati dallo stato definirono da subito delle migliorie da fare per la bonifica del sito, tra cui:
- Riduzione del 30% della giacenza media annua per le materie prime;
- Arretramento di 80m dal confine stabilimento del Parco Minerale;
- Avviato cantiere copertura parchi primari minerale e fossile;
- Completata copertura di 2 parchi calcare.
Tutte misure realizzate prima che il sito fosse consegnato nelle mani di ArcelorMittal. Insieme ad altre misure che prevedessero: Chiusura di 43 km di nastri trasportatori (cokeria), l’istallazione di filtri a tessuto (cokeria), dragaggio canale di scolo 1, trattamento rifiuti pericolosi ( secondo lotto discarica), 10 sistemi di nebulizzazione per l’abbattimento delle polveri (area a caldo*), revamping AFO1** (area a caldo) , installazione di filtri a manica (area a caldo), ACC1*** chiusura tetto e installazione di filtro a manica, con un miglioramento del sistema prevenzione slopping(area calda),AGL**** inserimento filtri a manica per la depolverizzazione dell’impianto ( area calda).
Lo Slopping
Grave problema che affligge i quartieri limitrofi al sito siderurgico è quello di riscontrare fuori dalle proprie abitazioni masse di polvere arancione, capiamo da dove provenga.
Per abbassare il contenuto di carbonio presente nella ghisa, si usano dei convertitori, che sfruttano rottami ferrosi, inoltre durante il processo, viene insufflato ossigeno. L’ossigeno reagisce con il carbonio e si produce ossido di carbonio. In questa fase si produce la scoria che porta al fenomeno denominato slopping, ovvero la famosa fumata rossa, che deve essere contrastata tramite un impianto di aspirazione.
Il parco minerario
I “parchi” all’interno del sito sono diversi, in base al materiale di destinazione:
- Il parco minerale è un piazzale vastissimo su cui si accumula a montagne il minerale ferroso in attesa di entrare nel ciclo dell’acciaieria;
- Il parco fossile è un piazzale in cui si accumula il carbon coke destinato al processo dell’altoforno;
- Infine vi sono parchi secondari come il letto di sinterizzazione, l’agglomerato e lo stoccaggio della loppa d’altoforno.
All’interno del parco minerario sono stati riconosciuti tre cumuli si sostanze, diverse da quelle che costituiscono la materia prima dell’acciaieria. Nello specifico vedi qui
CUMULO A
In questo cumulo finiscono diversi tipi di materiale, polverino derivante le aspirazioni di alcuni impianti, scaglie ferrose, materiali generici derivanti dalla pulizia delle strade interne dello stabilimento Ilva. E’ ragionevole pensare che questo cumulo funga da punto di stoccaggio del sottoprodotto materiale ferroso.
CUMULO B
Il Cumulo B è circoscritto da una recinzione in plastica di solito usata nei cantieri. Il materiale sembra essere fangoso. Nel cumulo è sempre presente acqua, per evitare lo spolverio dei cumuli approvvigionati nei parchi.
CUMULO C
Il cumulo C, il più vicino ai limiti aziendali, è a distante di circa 600 metri dalle abitazioni del quartiere Tamburi. Sembra essere il più datato degli altri cumuli presi in esame, non è ben chiaro quando l’area interessata smette di essere adibita a stoccaggio di minerali ed inizia a ospitare rifiuti. Sembra sia presente dal 2007 per poi essere coperto, in parte, nel 2009 da teloni. Questo cumulo risulta costantemente alimentato. Sembra che il materiale presente nel cumulo C, sia in prevalenza costituito da fanghi e polverino derivanti dal processo produttivo degli impianti.
Tornando al problema dei parchi minerari, questi sono stati per anni lasciati scoperti ed essendo costituiti principalmente da polveri di minerali, durante i tristemente noti wind-day, il minerale viene portato in atmosfera dal vento, che lo trasporta fino alle città più vicine, tra cui il quartiere Tamburi.
Dettagli di costo per la copertura del parco minerale
La sistemazione delle aree di stoccaggio delle materie prime e secondarie, con lavori da condurre fra il 2018 e il 2021, dovrebbe costare 375 milioni. L’intervento più appariscente, ma anche più difficile riguarderà i parchi minerali e fossili. Questa è la soluzione trovata da Arcelor Mittal per limitare la diffusione di polveri.
Composta da tre moduli coperti. Il progetto ha avuto inizio il primo febbraio 2018 e terminerà nell’ultimo trimestre del 2019, grazie ad un’azione di accelerazione dei tempi di realizzazione, concordata con lo stesso Arcelor Mittal. Sarà l’edificio più grande d’Europa ( 700 mt di lunghezza, 245 mt in larghezza e 77 mt di altezza).
La copertura dei parchi, una volta completamente realizzata, sarà uno dei progetti ingegneristici più ambiziosi del Mondo e creerà una barriere fisica che eviterà la dispersione delle polveri provenienti dai cumuli dei parchi sulla città, in particolare, sul quartiere Tamburi, soprattutto in occasione dei wind day.
I lati nascosti del trading delle quote di CO2 il caso ILVA
Il trading delle quote di emissioni di CO2 è un sistema apparentemente virtuoso che dovrebbe generare un ciclo di miglioramento continuo per quel che riguarda le emissioni delle singole aziende, incentivato dai ricavi che derivano da questo sistema. Negli ultimi anni per esempio Arcelor Mittal è riuscita a ricavare 1 miliardo e 800 mila euro di ricavati da questo sistema negli ultimi 5 anni (Come dimostrano studi della Carbon Watch Market), vediamo come funziona. Si seguito viene riportata la mappatura delle tonnellate di CO2 prodotte dai vari paesi dell’area EU.
Il sistema EU ETS
Per limitare le emissioni CO2 dal 2005 l’Europa ha stanziato un totale di quote divise per Paese che fissano il tetto massimo europeo di CO2 dell’anno. Ogni anno diminuiscono. Ogni Paese le suddivide tra le varie aziende presenti sul territorio nazionale. Ogni azienda quindi ha a disposizione per quell’anno un budget di quote di CO2 da consumare. Ad esempio Ilva quest’anno ha quote di CO2 per dieci milioni di tonnellate. Il prossimo anno ne avrà il 2% in meno. Se supera questo livello di CO2 deve comprare quote da qualche altra azienda che ne ha in eccedenza, avendone prodotte meno del suo tetto massimo a disposizione. Infatti, se non arriva al tetto massimo, può scambiarle con altre aziende, in cambio di denaro. Alla fine il totale massimo di produzione di CO2 consentito nell’anno non deve superare le quote concesse.
L’obiettivo sarebbe quello di venderne di più incentivando a produrre meno CO2. Naturalmente è chiaro che ciò non lo si realizza licenziando, altrimenti converrebbe chiudere l’azienda. Ma ammodernando gli impianti con nuove tecnologie in grado di ridurre la CO2 prodotta.
Similitudini con altri centri siderurgici in Europa gestiti da Arcelor Mittal
Le politiche del guadagno, che sono alla base di una qualsiasi impresa, sono note a tutti. Se da una parte giustificate, sia per l’inevitabile propensione al rischio che un’azione di persone abbia, sia dalle effettive difficoltà che un imprenditore debba affrontare. Dall’altro lato in realtà l’imprenditore ha una responsabilità molto più grande del semplice “far andare bene l’azienda”, egli infatti ha sotto di lui e al suo fianco svariati collaboratori, che vengono nutriti dall’azienda stessa.
Forti di tale premessa, analizziamo il modus operandi di Arcelor Mittal, nei due diversi casi riportati qui sotto:
Romania, Hunedoara in Transilvania (2003) ;
Entrambi gli stabilimenti hanno subito forti ridimensionamenti a livello di personale, con un epilogo sostanzialmente diverso. In Romania infatti AM ha ridotto il personale da venti mila impiegati fino a meno di 700 ( dato 2011), il sito siderurgico di Liegi invece, ha visto il suo totale spegnimento, infatti ad oggi lo stabilimento è fermo.
Un’assonanza alquanto peculiare, se si pensa che nello stabilimento di Taranto sta accadendo una cosa simile.
Il caso Tarantino
È dal 2012 che lo stabilimento di Taranto produce la metà delle quote che ha a disposizione. Non perché ha licenziato gli operai (da 2012 a 2018 zero esuberi), ma perché ha prodotto un terzo della quantità di acciaio che quello stabilimento consente (e che faceva fino al 2012).
Inoltre dal grafico precedente si riscontra che il sito abbia quote in eccesso ad abundantiam, anche senza licenziare, e che comunque i futuri licenziamenti non prevedono ulteriori riduzioni di produzione di acciaio.
Quindi sebbene Arcelor Mittal stia facendo trading con quote di emissioni in esubero, derivanti non necessariamente dall’ammodernamento degli impianti, ma dalla riduzione del volume di produzione, il sistema europeo glielo permette ed è tutto a norma di legge, quindi bisognerebbe forse concentrarsi sulle problematiche relative al sistema EU ETS, che a mio avviso dovrebbe essere ricalibrato o addirittura cambiato.
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Complimenti, un bell’articolo. Molto interessante e fatto bene. Quindi in sostanza l’unica maniera per risolvere il problema “inquinamento” sarebbe quello di modernizzare gli impianti. La spesa sarà pure tanta però con quello che guadagna potrebbero permetterselo (credo). Inoltre è un investimento a lungo termine ( o breve ahah dipende da come vanno le cose con la Thunberg ahahah) a parte le battute, credo sia un investimento perché ci stiamo evolvendo e ci stiamo sempre più rendendo conto di quanto il problema dell’inquinamento ambientale sia importante.
Tra 50 anni l’ex-ILVA sicuramente non potrà tenere gli stessi standard di oggi e mi viene da dire che la chiuderanno, ma effettivamente dai dati che hai riportato non è proprio fattibile la chiusura di un tale impianto!
Buon giorno Zuleika,
Innanzi tutto, grazie del commento.
Per quel che riguarda gli investimenti per gli ammodernamenti impiantistici in realtà lo Stato, tramite decreti ministeriali (i.e. DM 230, DM 169, DPCM del 2019, etc …) tiene sotto controllo Arcelor Mittal, costringendolo periodicamente ad un ri-ammodernamento delle strutture impiantistiche e di trattamento dei prodotti di scarto e delle acque impiegate nei processi industriali.
Inoltre chiudere una struttura del genere richiederebbe dei finanziamenti enormi, qualora si volessero recuperare gli AFO ancora attivi, il che non è detto neanche che possa essere possibile, a causa delle sollecitazioni termiche a cui sarebbero soggetti a seguito di uno svuotamento progressivo, se invece lo scopo fosse spegnere semplicemente l’impianto, sarebbe comunque una grande perdita. Primo perché bisognerebbe importare acciaio dall’estero a prezzi di gran lunga maggiori rispetto ad oggi, in secondo luogo perché non vi sarebbe alcun valore residuo dell’impianto (che sarebbe solo da dismettere, pagando chi di dovere).
Sarebbe un tema d’approfondire ulteriormente, ma l’articolo a questo punto avrebbe raggiunto il triplo della sua estensione, però se risulta interessata al tema si può pensare di fare degli articoli collegati ad esso.