COVID-19 ed inquinamento atmosferico
Il COVID-19, più comunemente chiamato Coronavirus, sta mettendo in seria difficoltà i sistemi sanitari di numerose nazioni, mietendo quasi 17 mila vittime a livello mondiale e con un numero di contagiati accertati di circa 380 mila persone, in continua crescita (dati di oggi, 24 marzo 2020).
A questo proposito sono numerosi gli studi che stanno esaminando le cause principali di questa propagazione, che ha trovato nella globalizzazione un forte alleato.
In particolare, con le restrizioni e la quarantena, che è stata adottata da molti Stati, ci si chiede come mai la propagazione non accenna a fermarsi e se ci siano altri modi di diffusione oltre il contatto diretto.
COVID-19 ed inquinamento atmosferico
Andiamo quindi direttamente al punto, esiste una correlazione tra la propagazione del COVID-19 e l’inquinamento atmosferico?
Secondo studi della SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), esistono numerosi casi che correlano l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico: il cosiddetto PM (particulate matter) di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Gli Inquinanti Principali“.
Nel dettaglio, è noto che il particolato atmosferico funge da carrier, ovvero da vettore di trasporto, adsorbendo generalmente contaminanti chimici e sostanze come metalli pesanti ed è con lo stesso processo che può adsorbire anche i virus (essendo questi solitamente di misure ridotte).
Per chi non avesse letto l’articolo di sopra, il particolato può presentarsi come particella solida o liquida ed è uno scarto presente nella maggior parte dei processi di combustione. I casi che si prendono in esame sono quelli del PM2.5 ed il PM10 ovvero il particolato di diametri rispettivamente di 2.5 micrometri e 10 micrometri. Il COVID-19 presenta un diametro tra gli 80-160 nanometri, da qui gli studi sulla possibilità che venga adsorbito dal PM.
Già nel 2016 è stata trovata una relazione tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano (RSV) e le concentrazioni di particolato. Come si può osservare, la velocità di propagazione è correlata all’aumento di concentrazione di PM2,5 (a sinistra) e PM10 (a destra).
I virus in generale vengono catturati dal particolato atmosferico secondo un processo di coagulazione, in questo modo possono rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, solitamente dell’ordine di ore o giorni.
Gli studi della SIMA sul caso del COVID-19 hanno sfruttato i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia ed i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 emessi dal sito della Protezione Civile.
Incrociando questi dati si è notata una relazione diretta tra il numero di casi di COVID-19 e lo stato di inquinamento atmosferico da particolato, in accordo quindi con la precedente letteratura scientifica di altre infezioni virali (come RSV del 2016).
In conclusione: si è notato che il particolato, e quindi l’inquinamento atmosferico umano, abbia svolto ruolo di vettore e di “boost” per la propagazione del virus COVID-19, in analogia con quanto già successo per altre infezioni virali avvenute nel passato.
Fonti
- Documento originale della SIMA: qui
- Fabio Orecchini