Sistemi di stoccaggio dell’energia termica
Gli impianti che sfruttano risorse rinnovabili hanno trovato, negli ultimi anni, sempre più largo favore nell’opinione pubblica. Tuttavia, il loro impiego all’interno del contesto energetico, industriale e civile persiste, tutt’oggi, limitato anche e soprattutto in virtù di alcuni limiti tecnologici ancora evidenti. Nelle applicazioni più recenti, però, sono stati introdotti dei sistemi di supporto che portano, con sé, numerosi vantaggi produttivi, ambientali ed economici. Uno di questi prevede l’accumulo dell’energia termica.
I sistemi di stoccaggio dell’energia termica
A partire dalla prima rivoluzione industriale la domanda energetica globale ha registrato, complessivamente, una crescita enorme, seppur non costante e con temporanee inversioni di tendenza. Ad oggi, fra i fattori che determinano il suo accrescimento devono essere evidenziati fattori quali la crescita della popolazione mondiale, l’industrializzazione di paesi emergenti e lo sviluppo di reti e infrastrutture. Per soddisfare questo fabbisogno energetico, però, risulta necessario un massiccio, preponderante ricorso a fonti energetiche fossili o, comunque, non rinnovabili. Al di là di numerosi discorsi di carattere culturale e geopolitico che potrebbero essere affrontati circa il ruolo delle risorse rinnovabili all’interno dei contesti civile, industriale ed economico e del tessuto produttivo energetico, e andando oltre anche alla risonanza che oggi queste trovano, trasversalmente, all’interno dell’opinione pubblica, è bene notare che non soltanto queste tecnologie “green” presentano ancora dei limiti evidenti, ma anche che suddetti limiti sono assenti o fortemente attenuati nei sistemi che sfruttano risorse non rinnovabili, siano questi produttivi o non. Le tecnologie che sfruttano risorse non rinnovabili, infatti, oltre uno sviluppo teorico e una tradizione secolari mostrano degli attributi, caratteristiche che le rendono decisamente competitive su mercato e particolarmente felice il loro utilizzo, quali garanzia di continuità d’esercizio, grande capacità non tanto nel soddisfare una richiesta, una domanda, quanto nel far fronte a picchi o variazioni in quest’ultima, l’adattabilità a più contesti e un elevato numero di soluzioni possibili. Inoltre, le risorse non rinnovabili, che pure risultano costose, giacché non semplici da ricavare, presentano vantaggi quali la loro trasportabilità, la facilità di conservazione (combustibili nucleari a parte) e la notevole molteplicità di trattamenti che ne estendono il panorama di utilizzo. Di contro le tecnologie che sfruttano risorse rinnovabili, se possono, ad oggi, certamente, essere confrontate con le tradizionali per quel che riguarda i volumi produttivi, presentano, o, almeno, una parte consistente di queste, insufficienze quali intervallo di esercizio limitato nonché discontinuo nel tempo, riflesso del regime variabile della risorsa; inoltre è evidente la minor capacità di questi nel far fronte a variazioni e aumenti nella domanda che sono chiamati a soddisfare. Ragion per cui, secondo l’international Energy Agency circa l’81% del fabbisogno energetico mondiale è coperto ricorrendo a risorse non rinnovabili.
Possono però essere introdotte delle tecnologie e delle applicazioni di supporto negli impianti che sfruttano risorse rinnovabili, siano essi di produzione e non, che, pur non risolvendo a monte questi problemi caratteristici, consentono, quantomeno, una maggiore autonomia degli impianti nel far fronte a una domanda e, in definitiva, rendono questi maggiormente competitivi su mercato e nelle prestazioni offerte. Tra queste soluzioni possono essere citati i sistemi di stoccaggio di energia termica (TESS-Thermal Energy Storage System), elementi che sono sintesi di iniziative promosse a partire dagli anni ’70 dall’IEA al fine di migliorare la produzione energetica sostenibile. Un TESS, in linea del tutto generale, può essere visto come un sistema di accumulo di energia termica che rilascia un patrimonio energetico, precedentemente accumulato, nel momento in cui l’impianto cui risulta integrato lo richiede, presentando un ciclo di lavoro articolato in tre fasi: caria (Charging), stoccaggio (Storing) e rilascio (Discharging). Generalmente la fase di stoccaggio spetta a un dato materiale o sostanza che prende il nome di “materiale di accumulo” che risulta contenuto all’interno di un contenitore (boiler) al cui interno sono predisposti strati di materiale isolante al fine di limitare le inevitabili dispersioni verso l’esterno dell’energia termica stoccata. È bene notare, al di là di ogni classificazione percorribile, che le prestazioni e l’utilizzo di un TESS, nonché la discriminazione fra questi, sono determinati dai materiali impiegati. Risulta chiaro che essendo il fine ultimo del sistema quello di accumulare energia termica, il materiale più importante è quello di accumulo, e quello capace di ottimizzare il processo deve presentare un elevato calore specifico “c” ed elevati valori di temperatura di transizioni di fase ad esempio. Tuttavia, il materiale di accumulo non deve essere scelto semplicemente in virtù dei volumi di accumulo che riesce a garantire, in quanto nell’eterogeneità delle applicazioni richieste potrebbero essere necessarie delle specifiche tecniche nel sistema di stoccaggio che non dipendono, se non collateralmente o marginalmente, dalla performance di accumulo del materiale, quindi da questi parametri. La scelta del materiale di accumulo deve, invece, essere in grado di soddisfare più richieste, e di natura differente per giunta: economica, chimica, istanze di esercizio e d’ingombro. Un buon materiale di accumulo deve essere certamente il più economico possibile, ciò che risulta verificato quando disponibile in grande quantità, agevoli i processi di trattamento, limitato il trasporto e semplice la sua conservazione; chimicamente stabile, in grado di non dar luogo a fenomeni di decomposizione o reazione chimica con la variazione di temperatura e non aggressivo nei confronti degli altri materiali impiegati (e viceversa); deve consentire il minor ingombro possibile, aspetto verificato a fronte di un’elevata densità e un’elevata densità di accumulo energetico (kW/). Chiaro, poi, è che la scelta deve essere sempre contestualizzata, guardata dal punto di vista dell’applicazione, la quale, con le sue caratteristiche, decide, indica quale sia la soluzione maggiormente idonea.
Classificazioni dei sistemi di accumulo dell’energia termica
I sistemi di stoccaggio di energia termica, come detto, sono piuttosto eterogenei nelle loro caratteristiche, cui segue una grande molteplicità di soluzioni. Possono essere questi suddivisi in diverse modalità, secondo diversi principi, come la tipologia di calore scambiato, l’estensione dell’intervallo di stoccaggio e le temperature di esercizio.
Classificandoli in funzione del calore scambiato, questi possono essere suddivisi in:
- Sistemi di stoccaggio dell’energia termica a calore sensibile (SHTESS): Le fasi di accumulo e di scarica avvengono attraverso la variazione di temperatura di un materiale che, durante l’intero processo, non viene coinvolto in fenomeni di transizione di fase, scambiando quindi soltanto energia sensibile. La quantità di energia termica che viene accumulata dipende, essenzialmente, dal calore specifico del materiale di accumulo e dalla variazione di temperatura cui questo va incontro durante lo scambio energetico. Generalmente parlando i SHTESS sono quelli che garantiscono le performance di mero accumulo maggiormente modeste sul campo, in quanto limitati dall’impossibilità di coinvolgere il materiale di accumulo in un passaggio di fase, ciò che vincola, dunque, l’accumulo di calore a quello strettamente consentito dalla temperatura di transizione; per questo motivo, inoltre, rappresentano, anche, generalmente parlando, gli impianti con l’ingombro maggiore poiché risulta elevata la quantità di materiale da utilizzare per sopperire alle capacità di accumulo dello stesso (si arriva, addirittura, a intere falde acquifere). Tuttavia, questi svantaggi vengono controbilanciati dall’economicità dei sistemi appartenenti alla classe: se è vero che “maggior ingombro” è pur sempre sinonimo di “maggiore spesa”, relativizzando questo assunto ai materiali impiegati, in questa configurazione, ne se ne trovano di economici, potendosi questo spiegare nel fatto che, non dovendo andare incontro e quindi supportare fenomeni particolari quali transizioni di fase o reazioni chimiche, possono essere scelti tra materiali comuni e facilmente ottenibili, almeno fin tanto che l’applicazione richiede modeste temperature. Inoltre, a basse temperature possono essere utilizzati materiali di scarto, ciò che comporta, per questi, una seconda vita. Qualunque sia la scelta, il materiale è sempre in fase solida o liquida; la fase aeriforme non trova applicazione data la scarsa densità tipica della fase, ciò che richiederebbe grandi ingombri.
- Sistemi di stoccaggio dell’energia termica a calore latente (LHTESS): La fase di accumulo e di scarica avviene attraverso la transizione di fase di un materiale, che prende il nome di Phase Change Material (PCM). In tutte le applicazioni il PCM all’inizio della fase di accumulo e di scarica non si trova in condizioni di incipiente transizione, ciò che comporterebbe un preliminare coinvolgimento in uno scambio termico, e, inoltre, l’energizzazione cui viene sottoposto prosegue anche oltre il limes della pura transizione, ragion per cui, questo, scambia sia calore latente quanto sensibile. A tale aspetto segue la possibilità d’asserire che, generalmente parlando, un LHTESS risulta capace di accumulare una quantità di energia termica maggiore rispetto ai sistemi a calore sensibile, essendo qui consentito, ovviamente, quel processo di cambiamento di fase cui l’altra tipologia risulta invece interdetta, comportando questo anche una riduzione degli ingombri. Sotto questi punti di vista, quindi, un LHTESS risulterebbe maggiormente performante, ad esempio, rispetto un SHTESS; tuttavia, alla voce costi i sistemi a calore latente registrano un gap con i già citati SHTESS: i sistemi a calore latente impiegano materiali ben costosi sia per il ruolo di PCM sia per il ruolo di materiali isolanti e quindi, soprattutto in applicazioni dove i costi d’investimento si presentano particolarmente gravosi o dove la produzione modesta, l’impianto a calore latente potrebbe risultare svantaggiato rispetto agli altri, difficile da ripagare o superfluo per i volumi energetici in gioco. Per quanto riguarda le transizioni di fase che avvengono, sono categoricamente da escludere processi che coinvolgano fasi aeriformi, in quanto, essendo la densità dei gas e dei vapori decisamente inferiore a quella delle fasi liquida e solida e, quindi, i volumi di questi ben maggiori rispetto a quelli delle altre fasi, l’impianto dovrebbe essere sovradimensionato per garantire la grande espansione che accompagna il passaggio. Allo stesso tempo, se è vero che quella solido-liquido risulta essere la più comune, in rare e oculate applicazioni la scelta ricade sulla transizione solido-solido, transizione in cui il PCM passa da una fase cristallina a un’altra: da un punto di vista impiantistico, infatti, questa rappresenta la soluzione che richiede i minori ingombri essendo la variazione di volume la più modesta possibile.
- Sistemi di stoccaggio termochimico: lo scambio termico sfrutta una reazione chimica che può, in via del tutto generica, essere espressa nella formula:A+ΔH↔B+C. Nel processo diretto il reagente A deve essere energizzato per reagire e trasformarsi in B e C e questa energia viene fornita, sotto forma di energia termica, direttamente dalla fonte termica. L’energia acquisita nel processo iniziale rimane stoccata negli elementi B e C fino a che non viene richiesta dall’impianto cui il sistema di stoccaggio risulta integrato: a questa richiesta gli elementi B e C rilasciando calore formano nuovamente l’elemento A. La quantità di energia termica che viene quindi effettivamente stoccata in questa tipologia di sistemi è quella necessaria a finanziare la reazione chimica diretta; reazione chimica che, per garantire tanto la fase di rilascio, quanto la successiva fase di carica di energia, deve, ovviamente, risultare completamente reversibile. Quella dei sistemi termochimici è la tecnologia più recente e, sicuramente, quella che offre ad oggi i più ampi margini di sviluppo, tendenza dettata, questa, non tanto dalla giovane età della soluzione, quanto, tutto sommato, da alcune sue peculiarità che la rendono particolarmente interessante in ambiti e per operazioni in cui risultano maggiormente limitanti, se non del tutto inutilizzabili, le soluzioni a calore sensibile e latente. Il primo vantaggio offerto da questa tecnologia è quella, in determinate situazioni e a determinate condizioni, di trasportare il calore immagazzinato in un secondo luogo, aspetto decisamente semplificato nel momento in cui risulta sufficiente, a tal fine, spostare un solo elemento, ovvero i prodotti della reazione, e non un intero impianto. Allo stesso tempo in molte applicazioni risultano superflui anche contenitori e materiali isolanti, cui segue, ovviamente, una drastica riduzione degli ingombri. Lo svantaggio ad oggi maggiore è rappresentato dal costo elevato di questi sistemi, costo determinato soprattutto dai reagenti, nonché dai volumi di energia termica accumulabili, volumi che prevedono una grande quantità di materiale.
Alla classificazione dei sistemi di stoccaggio per calore accumulato, cui va dato il merito di circoscrivere a tre sole categorie un vastissimo numero di soluzioni fra loro particolarmente aliene, viene accostata una seconda classificazione, la quale analizza i sistemi di stoccaggio in funzione della temperatura di esercizio degli impianti. Questa classificazione, seppur ancora decisamente generica, offre la possibilità di comprendere in quali campi possono essere impiegati i sistemi di stoccaggio del calore e ovviamente consente di discriminare fra i vari sistemi quelli più adatti per un dato esercizio, indipendentemente da tutti i discorsi economici e architettonici possibili e necessari, guardando al solo valore della temperatura. Sotto questo punto di vista i sistemi di stoccaggio del calore sono suddivisi in:
- Sistemi di stoccaggio ad alta temperatura (High Temperature Thermal Energy Storage System) sono quei sistemi di stoccaggio di energia termica che lavorano a temperature superiori ai 200 °C e trovano, comunemente, impiego negli impianti di potenza, quale solare termodinamico tradizionale e a concentrazione, e, in ambito industriale, nel recupero dei cascami energetici.
- Sistemi di stoccaggio a bassa temperatura (Low Temperature Thermal Energy Storage) sono quei sistemi che operano nell’intervallo di temperature comprese fra i 10°C e i 200 °C. Le applicazioni più frequenti si registrano nell’ambito del condizionamento ambientale, ma non è raro trovarne traccia nel trattamento delle acque, nel teleriscaldamento, nella produzione in serra. Più raramente ve n’è traccia nella cogenerazione.
- Cold Thermal Energy Storage System sono quei sistemi che svolgono il proprio ruolo a temperature inferiori al valore della temperatura ambiente, al di sotto cioè dei 20 °C. Generalmente trovano impiego nel condizionamento ambientale, dove assorbono calore dall’ambiente, riducendo l’asincronia fra domanda e fornitura di freddo.
I sistemi di stoccaggio possono, infine, essere suddivisi in base alla durata della fase di stoccaggio, ovvero:
- Sistemi di stoccaggio a breve termine, ovvero quei sistemi di stoccaggio il cui ciclo di esercizio, un ciclo completo di carica-stoccaggio-scarica, s’esaurisce nell’arco di una giornata al massimo e, in genere, di poche ore.
- Sistemi di stoccaggio stagionale (Seasonal Thermal Energy Storage System) ovvero sistemi capaci di garantire una fase di conservazione del patrimonio energetico acquisito che può durare fino a un anno. Generalmente sono realizzati sfruttando enormi volumi di materiale di accumulo sotterranei e questo comporta una complessità tecnica nonché un investimento economico iniziale non indifferenti. Tra i sistemi a stoccaggio stagionale che sfruttano materiali sotterranei, identificati globalmente come Underground Thermal Energy Storage System, spiccano i sistemi a falda acquifera (Aquifer Thermal Energy Storage System), sistemi che sfruttano la geotermia del suolo che prendono il nome di BTESS (Borehole Thermal Energy Storage System), sistemi che sfruttano dei pozzi di acqua e ghiaia detti GWTESS (Gravel Water Thermal Energy Storage System) e sistemi che prevedono l’impiego di grotte naturali, detti CTESS (Cave Thermal Energy Storage System).
Vantaggi applicativi dei sistemi di accumulo dell’energia termica
Indipendentemente dalle varie classificazioni che possono essere proposte per questi sistemi, che in virtù della variabilità nelle loro caratteristiche, segue, naturalmente, una notevole versatilità in campo applicativo, l’introduzione di questi comporta effetti apprezzabili, tra i quali essere citati:
- Livellamento della produzione: rilasciando energia termica a intermittenza si oppongono al regime fluttuante della risorsa consentendo condizioni di lavoro maggiormente uniformi nel tempo e quindi una produzione più omogenea.
- Estensione l’intervallo operativo del sistema cui sono integrati: rilasciando tutta l’energia accumulata nell’arco del loro intervallo di esercizio consentono una produzione extra rispetto al normale quando la risorsa sfruttata nell’impianto non risulta più disponibile. In altri contesti consentono un vero e proprio spostamento della produzione in momenti della giornata in cui risulta maggiormente conveniente produrre.
- Autonomia nel far fronte a variazioni nella domanda: di fronte a un grande incremento della domanda, agiscono rilasciando energia in modo tale da consentire un incremento della produzione e, quindi, consentono al sistema di coprire la richiesta, evitando, collateralmente, il ricorso a impianti a risorse fossili di supporto e, quindi, un risparmio sui costi di esercizio, nonché una riduzione delle emissioni inquinanti.
- Recupero dei cascami energetici.
Per rimanere in argomento, consigliamo anche la lettura di: “Conservare energia-energy storage system”.
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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- Lanahan, P. C. Tabares-Velasco, Seasonal Thermal-Energy Storage: A Critical Review on BTES Systems, Modeling, and System Design for Higher System Efficiency, Energies, 2017.
- Figura 1
- Figura 2
- Figura 3
- Figura 4
- Figura 5
- Figura 6
- Figura 7
Avete dimenticato di citare nell’articolo il sistema di accumulo di energia termica sviluppato all’università Chalmers di Goteborg dove un composto chimico esposto al calore cambia molecola e attraverso il contatto con un catalizzatore produce calore e torna allo stato precedente.
Salve Stefano, in questo articolo ho cercato di offrire una panoramica generale dei sistemi di stoccaggio classificandoli in base al principio di scambio di calore, senza entrare nel dettaglio delle varie tipologie; aspetto che, spero, riuscirò ad approfondire nei prossimi articoli. Ti ringrazio comunque per la segnalazione.