Hyperloop: levitare alla velocità del suono – 2
Nell’articolo precedente abbiamo parlato del sistema di trasporto Hyperloop analizzando come viene vinto l’attrito con l’aria, come vengono gestite le dilatazioni termiche e quali sono i materiali utilizzati per costruire le varie componenti. In questa seconda parte della discussione concluderemo l’analisi tecnica (scoprendo come Hyperloop riesca a eliminare gli attriti col suolo) e cercheremo poi di dare risposta alla domanda che molti si pongono: attualmente Hyperloop è un puro esercizio d’immaginazione “leonardesca” o è un progetto economicamente sensato?
Perché sollevarsi da terra?
Prima di capire come Hyperloop riesca a rimuovere le forze di attrito col terreno, vediamo brevemente il motivo per cui si cerca di rimuoverle. Immaginiamo di dover far strisciare un oggetto molto pesante su un piano: contro di noi agirà una forza resistente chiamata attrito radente, generata dal contatto dell’oggetto col terreno. Come si può eliminare questa forma di attrito? Non c’è bisogno di chiamare in causa complicati sistemi di levitazione magnetica; bastano delle semplicissime ruote. La ruota, infatti, è in grado di annullare gli strisciamenti, e quindi di annullare la forza di attrito radente che ostacola l’avanzamento. Il problema sembrerebbe essere totalmente risolto, ma non è così. La ruota riduce a zero l’attrito radente, ma introduce al contempo un’altra forma di resistenza, chiamata attrito volvente. Essendo quest’ultimo un attrito di entità molto minore rispetto a quello radente, spesso si accetta di metterlo in conto, a beneficio della semplicità realizzativa. L’attrito volvente, tuttavia, aumenta in modo proporzionale alla velocità: per spostarsi più rapidamente di un normale treno ad alta velocità, quindi, bisogna trovare il modo di raffinare ulteriormente la soluzione del problema, abbandonando l’idea della ruota.
Come sollevarsi da terra?
Al fine di eliminare sia l’attrito radente che quello volvente, si fa ricorso alla levitazione magnetica. La levitazione magnetica, o più brevemente MagLev, è una tecnologia che permette, attraverso l’uso di campi magnetici, di distanziare un oggetto dalla superficie su cui poggia contrastando la forza di gravità che lo attrae ad essa. I sistemi MagLev possono essere di varia natura: sviluppati all’inizio degli anni ’70, hanno subito continui rinnovamenti. Si possono distinguere due principali categorie di levitazione: attiva e passiva. La levitazione attiva sfrutta elettromagneti per funzionare (un esempio di elettromagnete è riportato in figura); ha quindi bisogno di corrente, sia se i magneti sono installati sul corpo in movimento, sia se i magneti sono installati sul piano di appoggio.
Ridurre i consumi di Hyperloop
Proprio a causa del notevole dispendio energetico richiesto per la levitazione attiva, gli sviluppi tecnologici più interessanti si stanno concentrando sulla levitazione passiva. La levitazione passiva non prevede alcun uso di elettricità (se non nelle fasi di accelerazione), e si affida a magneti permanenti. I magneti permanenti, come suggerisce il nome, non necessitano di essere attivati da un passaggio di corrente elettrica, ma generano un campo magnetico proprio. Nell’ambito della levitazione passiva, la tecnologia Inductrack, sviluppata in tempi recenti, prevede di disporre i magneti permanenti in una sequenza molto particolare, definita array di Halbach.
Inductrack
Ci sono diverse tipologie di capsule Hyperloop, e le aziende hanno optato per tecnologie MagLev diverse. Per il momento, l’unica compagnia che ha scelto la soluzione Indutrack è la già menzionata HTT. Il progetto della capsula HTT prevede la disposizione degli array Halbach sul fondo della capsula e la stesura di “binari” di alluminio lungo il tracciato sottostante. Il vantaggio di Indutrack, oltre ai bassi costi energetici, sta nella sicurezza che questo sistema offre. Gli array infatti generano una spinta di sollevamento che dipende da quanto velocemente sta variando il campo magnetico nel sistema di riferimento solidale ai binari. La spinta è quindi proporzionale alla velocità: nel caso di un guasto, la capsula non “cadrebbe” sui binari improvvisamente ma eseguirebbe un docile “atterraggio” controllato.
La propulsione Hyperloop
I tubi a vuoto spinto, uniti alla levitazione magnetica, permettono di creare un ambiente in cui gli attriti sono molto bassi; tutte queste tecnologie vengono appunto utilizzate per minimizzare la spinta propulsiva necessaria per l’avanzamento. Nonostante ciò, Hyperloop ha comunque ovviamente bisogno di un motore, poiché oltre a vincere le piccole forze di attrito residue la capsula deve essere in grado di accelerare (e frenare). Per questo tipo di trasporti la soluzione migliore da adottare è quella del motore (generalmente trifase) a induzione lineare, o LIM. Il LIM è anch’esso un dispositivo che sfrutta i campi magnetici, ma a differenza dei sistemi MagLev ha l’esigenza di variare costantemente nel tempo i campi magnetici prodotti. Senza entrare nei dettagli tecnici, si può dire che il modo in cui i magneti del LIM si alternano ricorda alla lontana il movimento dei bruchi. Per chi volesse approfondire, proponiamo di seguito questo breve video.
Per attivare e disattivare continuamente i campi magnetici c’è ovviamente bisogno di corrente. Da una parte questo sistema è in teoria non molto efficiente: all’aumentare della velocità, infatti, le irregolarità del campo magnetico ai bordi del motore creano una forza di resistenza al moto sempre più elevata. Nonostante ciò, bisogna tenere a mente che le forze richieste al propulsore Hyperloop, grazie all’eliminazione degli attriti, sono molto contenute. La capsula Hyperloop quindi non necessiterà di una linea elettrica dedicata lungo il tracciato: sarà sufficiente trasportare l’energia necessaria in una batteria all’interno della capsula stessa.
I costi
Nel complesso, quanto potrebbe costare costruire una linea Hyperloop da zero? I costi non variano solo a seconda del tipo di tecnologia usata, ma anche a seconda della tratta specifica che si vuole realizzare. Come la maggior parte delle strade, le tratte Hyperloop sono sicuramente più economiche se costruite senza scavare gallerie: le pianure sono insomma le zone più adatte alla costruzione di queste infrastrutture. Una soluzione adottata per compensare i costi di costruzione prevede l’installazione di pannelli fotovoltaici sul dorso dei tunnel, in modo da coprire i fabbisogni energetici di Hyperloop e guadagnare al contempo con l’energia prodotta in eccesso. Bibop Gresta, CEO di HTT, ha dichiarato che il costo dell’intera infrastruttura (comprensiva di tutto) si aggira tra i 20 e i 40 milioni di dollari per kilometro; lo stesso CEO ha indicato un recupero totale dell’investimento in un periodo che va dagli 8 ai 15 anni. Il costo per trasportare una persona si aggirerebbe intorno a solo 4 dollari per 100 Km (cifra ovviamente minore rispetto al costo del biglietto). Questi dati sono abbastanza vaghi, ma sono stati avviati studi che dovrebbero restituire nei prossimi anni cifre più attendibili.
Gli studi
La prima tratta Hyperloop funzionante dovrebbe vedere la luce nel 2023, collegando Dubai ad Abu Dhabi. Oltre a questo progetto, in numerosi stati del mondo sono già stati avviati studi di fattibilità per alcune tratte di particolare interesse. In Germania è stata avviata una joint venture con il porto di Amburgo per sviluppare sistemi di trasporto cargo; nella zona dei Grandi Laghi (USA) è stato recentemente concluso uno studio di fattibilità che ha giudicato il progetto come altamente profittevole. In India sono allo studio numerose tratte, così come in Europa e in America del nord. Anche in Italia nel febbraio 2020 HTT ha avviato trattative in sei regioni diverse (Puglia, Lombardia, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto). HTT e le aziende di trasporto regionali lombarde hanno deciso inoltre di collaborare per studiare nello specifico la tratta Milano – Malpensa, che permetterebbe di collegare l’aeroporto alla città in un tempo inferiore ai 10 minuti.
Hyperloop, utopia o no?
Hyperloop è una scommessa che punta su diverse scelte progettuali ardite: un progetto alla Elon Musk, insomma. Non a caso era stato proprio il fondatore di Tesla e SpaceX che, nel 2012, aveva lanciato la prima competizione tra università per lo sviluppo di questo sistema di trasporto. Non si tratta di essere disfattisti o ottimisti: statisticamente, la storia della tecnologia è costellata più da fallimenti che da successi. Tuttavia, ci sono diversi indizi per pensare che a breve le prime capsule inizieranno a sfrecciare: solo il tempo ci dirà se questa nuova forma di trasporto sarà in grado di cambiare per sempre il modo in cui viaggiamo. Nel frattempo, sognare non costa nulla.