CCS – Cattura e stoccaggio della CO2
Il processo di cattura e stoccaggio del carbonio, indicato con la sigla CCS (Carbon Capture and Storage), è considerato come una delle tecnologie migliori per stabilizzare il livello di anidride carbonica nell’atmosfera.
Le eccessive emissioni di anidride carbonica sono state evidenziate anche nel Quinto Report di valutazione dell’IPCC (Intergovermental Panel on Climate Change) che testimonia un incremento esponenziale specie negli ultimi 40 anni.
Come si può osservare dal grafico si è arrivati a quasi 40 giga tonnellate di anidride carbonica emesse l’anno ovvero 40 miliardi di tonnellate.
Le CCS prevedono una sezione di impianto per la cattura della CO2 ed il costo per il ciclo completo dipende strettamente da come vengono attuati i tre meccanismi: cattura, trasporto e stoccaggio; per questo motivo questi sistemi sono più convenienti se sfruttati su grandi impianti termoelettrici.
Gli impianti di generazione elettrica sono infatti generalmente alimentati con combustibili fossili e producono anidride carbonica in seguito all’ossidazione del carbonio presente nel combustibile con l’ossigeno contenuto nell’aria.
CCS – La cattura della CO2
I metodi di cattura dell’anidride carbonica dai grandi impianti sono principalmente 3:
- Rimozione della CO2 dai gas combusti – post – combustione
- Rimozione della CO2 dal combustibile – pre – combustione
- Combustione con ossigeno puro – ossicombustione.
Post – combustione
L’anidride carbonica viene catturata dai fumi di combustione esausti mediante l’utilizzo di un solvente dalla quale viene poi separata e compressa per essere trasportata ed infine stoccata. Oltre all’utilizzo di un solvente possono essere sfruttate altre tecniche quali la cattura mediante membrane o la separazione criogenica. (Queste tecniche verranno approfondite nel seguente capitolo).
Il vantaggio di questa soluzione è la sua adattabilità ad impianti già esistenti mentre le criticità sono principalmente dovute alla bassa concentrazione di CO2 in uscita dai gas combusti (solitamente 3–15%) ed alla necessità di comprimere il biossido di carbonio catturato.
Pre – combustione
Avviene a monte della combustione e sfrutta il processo di gassificazione che porta a convertire il flusso in entrata nella camera di combustione in una miscela di anidride carbonica ed idrogeno; la prima viene stoccata, il secondo viene utilizzato come combustibile.
In particolare, il processo di gassificazione consente di convertire un combustibile primario in fase liquida o solida in un “gas di sintesi” detto anche syngas.
Rispetto alla post-combustione, questo processo è più complesso ma presenta un’elevata concentrazione di anidride carbonica (dal 15% al 60%) e pressioni di esercizio più elevate che consentono di ottenere un rendimento maggiore di cattura.
Questo approccio è quindi particolarmente indicato per impianti del tipo IGCC ovvero impianti che sfruttano un ciclo combinato con il processo di gassificazione.
In questo senso la decarbonizzazione del combustibile è caratterizzata da costi minori nella sezione specifica della cattura e del trasporto della CO2.
Ossicombustione
In questa tipologia si utilizza ossigeno puro come comburente in camera di combustione e porta alla formazione di vapore e di anidride carbonica concentrata (che è più facilmente trasportabile).
L’ossigeno per la combustione viene ottenuto dall’aria con una purezza richiesta superiore al 95%; in questo caso sono convenienti il processo di frazionamento criogenico e alcune membrane selettive.
Il grande vantaggio è quello di avere una concentrazione di CO2 anche superiore all’ 80%, di contro il costo dell’impianto è chiaramente più alto dovendo aggiungere anche la sezione per la produzione di ossigeno puro. Per questo motivo questa tecnologia è ancora poco utilizzata.
Considerazioni sul rendimento dell’impianto
Un aspetto importante da valutare in questi sistemi è quanto incidano sul rendimento lordo dell’impianto; l’approccio più costoso in termini energetici è sicuramente l’ossicombustione mentre la post-combustione risulta più conveniente, come possiamo osservare dai dati che seguono:
Per il caso della post-combustione molta energia viene utilizzata per la rigenerazione del solvente, la pre-combustione ha perdite minori nel processo di separazione ma impatti significativi per la produzione di syngas mentre per l’ossi-combustione gli inconvenienti maggiori sono dovuti alla presenza dell’impianto criogenico di separazione dell’ossigeno.
E’ inoltre importante sottolineare come l’adozione del CCS per la cattura di CO2 comporti un incremento del combustibile fossile consumato e quindi un conseguente aumento delle emissioni di anidride carbonica. Le emissioni effettive vanno quindi valutate come differenza tra CO2 emessa in un impianto che non presenta la sezione di separazione di quest’ultima e CO2 emessa dallo stesso impianto con sezione di separazione (come è possibile osservare in figura).
CCS – Il trasporto
Una volta catturata, la CO2 deve essere trasportata nel sito di stoccaggio o di riutilizzo, solitamente allo stadio liquido.
Il trasporto può avvenire via terra mediante appositi camion cisterna, condutture (pipeline) o mediante navi serbatoio. Negli ultimi due casi il costo del trasporto risulta importante, motivo per cui si preferisce realizzare i nuovi impianti in prossimità del sito di stoccaggio.
CCS – Lo stoccaggio
I principali procedimenti di stoccaggio e riutilizzo dell’anidride carbonica sono:
- Lo stoccaggio geologico
- Lo stoccaggio in oceano
- La conversione sotto forma di carbonati inorganici
- L’utilizzo in processi industriali
Stoccaggio geologico
Lo stoccaggio geologico è un processo di confinamento dell’anidride carbonica nel sottosuolo. Per tale scopo è necessario individuare preventivamente il sito adatto che è solitamente composto da formazioni rocciose porose che permettono di trattenere i fluidi.
I siti di stoccaggio geologico sono solitamente giacimenti esauriti di petrolio o di gas naturale, miniere di carbone non sfruttabili o formazioni saline in profondità. Nel primo caso inoltre l’iniezione di anidride carbonica ad alta pressione ha consentito di allungare la vita del pozzo (enhanced oil recovery), come è successo a Weyburn in Saskatchewan dove si è aumentata del 34% la quantità di petrolio estraibile.
Lo stoccaggio geologico deve avvenire a profondità superiori agli 800 m al fine di ottenere pressioni e temperature tali da portare l’anidride carbonica in fase liquida o supercritica.
Stoccaggio in oceano
Lo stoccaggio in oceano è una tecnica di confinamento che consiste nell’iniezione della CO2 in profondità oceaniche superiori ai 1000 m. Questo processo è ancora in fase di ricerca in quanto comporta rischi ambientali come la diminuzione del pH della zona di immissione e l’aumento di concentrazione di anidride carbonica sugli organismi marini.
Inoltre, come per lo stoccaggio geologico, assumono un’importanza cruciale i costi di trasporto e di iniezione.
Conversione in carbonati
In questo caso l’anidride carbonica viene convertita in carbonati tramite reazione con ossidi di metalli alcalini o alcalini – terrosi come CaO o MgO (presenti in natura nelle rocce silicee) in modo da ottenere i carbonati di magnesio MgCO3 e di calcio (calcare – CaCO3).
Questo processo non prevede quindi particolari rischi come il confinamento e permette inoltre di rimettere in circolo la CO2 in un’ottica di economia circolare, evitando di accumulare anidride carbonica nel sottosuolo. A livello di spesa energetica tuttavia è stato stimato un incremento dal 60% al 180% per centrali implementate con questa tecnica di conversione.
Utilizzo in processi industriali
In questo caso la CO2 può essere fatta reagire chimicamente al fine di ottenere prodotti industriali di natura inorganica o essere direttamente messa a disposizione di processi industriali come l’orticultura o la refrigerazione. Il consumo industriale mondiale di anidride carbonica è tuttavia molto inferiore rispetto alle emissioni (nel 2010 si attestava intorno ai 120 Mt/anno) pertanto non è possibile considerare questa tecnologia singolarmente in un piano di economia circolare dell’impianto. La maggior parte della richiesta di CO2 arriva dalla produzione di urea che viene sfruttata principalmente come fertilizzante. Un’alternativa sono i nuovi processi in fase di studio di coltivazione di alghe per la produzione di biocarburanti.
Da sottolineare come la CCS venga accreditata come uno dei processi più puliti ed efficienti in grado di decarbonizzare l’industria principale, la stessa AIE – Agenzia internazionale dell’energia ha stimato che potrebbe ridurre le emissioni globali di anidride carbonica di circa il 13%.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo approfondito quindi l’intero processo di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) che, specie in una situazione storica particolare nella quale ci troviamo (post pandemia), assumerà un’importanza cruciale per permettere alle industrie ad alta intensità energetica (come cemento, acciaio, fertilizzanti, prodotti petrolchimici, lavorazione del gas naturale e raffinazione del petrolio) di limitare notevolmente le emissioni inquinanti, in ottica di rispettare gli impegni presi negli accordi di Parigi. A questo proposito consiglio la lettura del sistema adottato dall’unione europea per premiare le industrie che limitano le emissioni – l’Emission Trading System.
Risulta chiaro tuttavia come il CCS abbia diversi punti “deboli”, in particolare lo stoccaggio. La necessità di stoccare l’anidride carbonica ad alte pressioni in vecchi giacimenti ad 800m di profondità o in mare non solo comporta numerosi rischi, ma risulta a mio avviso, un insulto alle nostre capacità. Il riutilizzo in campo industriale è sicuramente la scelta migliore ma, in questo caso, parliamo di quantità di CO2 sequestrate ben superiori rispetto alla “domanda”.
Per questi motivi è necessario investire nelle fonti rinnovabili che comportano un’emissione di anidride carbonica pressochè nulla. Alla possibile e giusta osservazione secondo la quale è complesso ottenere grandi potenze dalle fonti rinnovabili (a meno di parchi eolici on e off shore), rispondo con la parola “decentralizzazione“. La produzione energetica futura non dovrà essere centralizzata nel modello grande impianto –> utenti, ma ogni utente dovrà avere la propria fonte: parliamo di fotovoltaico e mini eolico per l’elettricità e collettori solari per il riscaldamento.
E’ chiaro come non tutti possano usufruire al meglio di queste fonti energetiche (sole e vento) ma se anche solo i più “fortunati” sfruttassero questo sistema, le emissioni verrebbero abbattute drasticamente in una misura ad oggi inimmaginabile.
Fonti
- Armaroli N. – Balzani V. “Energia Per L’Astronave Terra”. Zanichelli – Terza Edizione – 2017
- Cau G. – Cocco D. “L’Impatto Ambientale dei Sistemi Energetici”. SGEditoriali – IV Edizione – 2015
- Rifkin J. “Un Green New Deal Globale”. Mondadori – 2019
- IPCC, 2014: Climate Change 2014: Synthesis Report. Contribution of Working Groups I, II and III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Core Writing Team, R.K. Pachauri and L.A. Meyer (eds.)]. IPCC, Geneva, Switzerland, 151 pp.
- CO2CRC
molto interessante!