L’esplorazione degli abissi
L’esplorazione degli abissi
Il forte sentimento che accomuna gli uomini durante un viaggio esplorativo, qualunque esso sia, è la voglia di raggiungere l’ignoto cercando risposte alle domande che tengono svegli l’umanità da sempre, e l’esplorazione degli abissi non è da meno. Potreste aver sentito dire che l’uomo abbia esplorato solamente il 5% del fondale oceanico ma la questione è leggermente differente. Al momento siamo riusciti a mappare tutta la superficie dei fondali ad una risoluzione di 5 chilometri, che non è proprio uguale a dire di conoscerne solo il 5%. Quel che è certo però è che siamo ancora lontani dall’aver svelato tutti i segreti di questo straordinario ambiente marino. Inoltre, sono presenti aree mappate ad una risoluzione di 100 metri e che sommate arriverebbero alle dimensioni dell’Africa (una copertura del 10% – 15% degli oceani).
Cenni storici
La parola abisso viene dalla parola greca “ábyssoss” che significa letteralmente “senza fondo”. È facile pensare al motivo di questa etimologia se si pensa ai primi rudimentali tentativi di misurazione delle profondità degli abissi. Nel 1521 il portoghese Ferdinando Magellano tentò di stabilire la profondità dell’Oceano Pacifico utilizzando funi agganciate ad un peso. Quel primo esperimento meravigliò tutti: circa 730 metri di corda non bastarono per raggiungere il fondale. Perché tutto questo stupore? Con quella “misurazione” l’esploratore portoghese concluse di aver scoperto la regione più profonda dell’oceano!
La prima vera spedizione oceanica fu la Challenger Expedition (dicembre 1872 – maggio 1876) che vide al comando della HMS Challenger il capitano Charles Wyville Thomson. Le ricerche si concentrarono a 360° sull’ambiente marino di profondità con analisi chimiche, fisiche e biologiche come nelle più moderne spedizioni oceanografiche. La HMS Challenger riportò a terra una serie inestimabile di conoscenze e solo in quell’occasione vennero scoperte migliaia di nuove specie marine. Ma il viaggio incredibile della HMS Challenger fu solo il primo di una lunga serie di inestimabili spedizioni.
Gli ambienti marini profondi
Ad oggi, distinguiamo l’ambiente marino in zone caratterizzate da una serie fattori chimico-fisici distinti tra loro come l’intensità luminosa, la temperatura e la pressione.
Gli ambienti profondi in senso lato iniziano con la zona afotica (“priva di luce”) che in base alla trasparenza delle acque inizia tra i 100 e i 200 metri. Oltre tali profondità gli organismi fotosintetici (alghe, piante vascolari e fitoplancton) non possono più svolgere il processo di fotosintesi. Tuttavia, è presente una zona intermedia nominata zona difotica che si può estendere fino ai 700 – 1000 metri in cui i fotoni con lunghezze d’onda del blu e del viola. Queste condizioni permettono agli organismi ancora una certa visibilità, seppur estremamente limitata. Al di sotto di questo limite fisico, inizia l’habitat oceanico più vasto e “uniforme” del pianeta.
Come si esplorano gli abissi oggi?
L’esplorazione moderna degli abissi procede con diverse modalità a seconda dei limiti che si vogliono raggiungere e con tecnologie estremamente all’avanguardia.
L’uomo, con le più moderne tecniche subacquee ha la possibilità di raggiungere “elevate profondità” ma ciò è concesso a pochissimi e specializzati sommozzatori ed i rischi di tali pratiche sono estremamente elevati. Il record mondiale di profondità di un’immersione subacquea con bombole risale al 2014 ed è stato conquistato dall’egiziano Ahmed Gabr con i suoi 332.35 metri (15 minuti di discesa e quasi 15 ore di risalita!).
Sottomarini
È qui che la tecnologia viene ancora una volta in soccorso dell’uomo. Sono passati diversi secoli da uno dei più antichi progetti di un sottomarino ideato dal matematico inglese William Bourne nel 1578. Ad oggi vantiamo dei sofisticatissimi sottomarini da ricerca molto utili, ad esempio, per ottenere mappature dei fondali marini ad alta risoluzione. Uno fra tutti è Suntry un AUV (Autonomous Underwater Vehicle) della NOAA (National Oceanic and Atmopheric Administration, USA).
ROV
Invece, la rivoluzione dei campionamenti ad elevate profondità è stata resa possibile con i cosiddetti ROV (Remotely Operated Vehicle) capaci di raggiungere migliaia di metri e raccogliere campioni biologici o geologici attraverso braccia meccaniche. La conservazione delle specie o delle rocce prelevate in profondità è resa possibile grazie a vasche in plexiglas di diversi volumi. Inoltre, tali veicoli pilotati in tutta sicurezza da operatori a bordo delle navi oceanografiche possiedono una serie di sensori utili per analisi chimici-fisiche delle acque circostanti e dei laser capaci di misurare le dimensioni degli oggetti puntati. A supporto dei grandi ROV vengono spesso affiancati ROV più piccoli che forniscono un’ulteriore visione più generale dell’ambiente circostante e aiutano nell’illuminazione con potenti fari a led. Un caso fra tutti è quello della coppia Deep Discoverer e Seiros, capaci di raggiungere i 6000 metri di profondità.
Navi oceanografiche
Le navi oceanografiche rendono l’esplorazione degli oceani e degli abissi possibile grazie alle loro enormi dimensioni. Infatti, per la riuscita di una campagna esplorativa è indispensabile avere a bordo una serie di elementi: equipaggio, scienziati (fisici, geologi, biologi, climatologi ecc…), personale tecnico, personale sanitario. Un esempio su tutte è la Okeanos Explorer della NOAA, un’imbarcazione di 68 metri capace di ospitare 49 persone ed essere indipendente per 40 giorni senza mai toccare terra. Attraverso il loro sito internet o i diversi canali social è possibile ripercorrere le precedenti spedizioni o partecipare alle dirette live delle attuali attività esplorative negli abissi. È importante ricordare come anche il supporto satellitare sia fondamentale per la raccolta massiccia di dati sulle condizioni marine, meteorologiche e per studi di climatologia, oltre che per la navigazione.