COP25 – speranza o capolinea?
COP25, la conferenza mondiale sul clima che quest’anno si è tenuta a Madrid sarebbe dovuta finire nell’arco di dodici giorni tra il 2 ed il 13 dicembre.
L’anno scorso abbiamo spiegato l’importanza di questi incontri annuali e abbiamo fatto un resoconto degli argomenti trattati al termine della COP24; quest’anno cercheremo di seguire in diretta gli aggiornamenti delle ultime trattazioni che si stanno prolungando negli “extra time” pur di arrivare ad un accordo tra le 197 delegazioni (196 stati più l’Unione Europea).
I presupposti ed i partecipanti
La COP25 ovvero “Conference of parties” (la Conferenza tra i paesi firmatari dell’ UNFCCC) quest’anno si è tenuta a Madrid in circostanze per così dire particolari: si è infatti svolta sotto la presidenza del governo del Cile che ha dovuto rinunciare ad ospitare l’incontro a causa dell’instabilità politica e dei disordini interni che sta affrontando dal 18 ottobre con proteste antigovernative spesso violente.
Il presidente della Conferenza è stato il ministro dell’Ambiente del Cile Carolina Schmidt Zaldivar che si è avvalsa del supporto del governo spagnolo; il trasferimento stesso è stato finanziato dall’Unione Europea e da nove paesi.
I presupposti che hanno preceduto la COP25 sono stati importanti, a partire dal monito del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres: “L’umanità deve scegliere tra la speranza di un mondo migliore agendo o la capitolazione”.
Le scadenze dei 3 grandi obiettivi climatici sono infatti alle porte:
- ridurre le emissioni del 45% entro il 2030
- raggiungere la neutralità climatica entro il 2050
- stabilizzare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C gradi entro fine secolo
Dalle promesse dell’Accordo di Parigi del 2015 infatti i passi avanti sono stati troppo pochi per poter anche solo sperare di raggiungere i 3 obiettivi prefissati ed un primo resoconto verrà redatto nel 2020, termine di scadenza di molte nazioni per presentare i nuovi piani d’azione per ridurre le emissioni.
Un’altro aspetto che rende ancora più importante questo evento è la straordinaria partecipazione che si è osservata nell’ultimo anno con il cosiddetto friday-for-future promosso da Greta Thumberg, sempre più simbolo di una generazione che vuole svegliare i propri governi dal sogno della seconda rivoluzione industriale ormai al capolinea.
Greta Thumberg ha chiaramente il merito di aver creduto di poter fare la differenza, e per quanto anche il sottoscritto non apprezzi particolarmente che le parole di una ragazzina possano avere un peso così più “forte” di quelle di un’intera commissione di tecnici quale l’IPCC (che di prove sul cambiamento climatico ne sta fornendo da due decenni), bisogna riconoscerle il coraggio e la determinazione che l’ha resa portavoce di milioni di ragazzi scesi in piazza in risposta al suo appello. Questo il suo intervento alla COP25:
La COP25 nulla di fatto
Nulla di fatto, dopo 2 giorni supplementari la COP25 si è conclusa senza un accordo tra le varie parti. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres definisce l’incontro come deludente.
Lo snodo che riguarda l’articolo 6 degli Accordi di Parigi del 2015 per la regolazione del mercato del carbonio non è stato sciolto e le perplessità sul “double counting”, che permetterebbe un conteggio sia del paese acquirente che del venditore sulla quantità di emissioni scambiata, rimane immutata.
Rimandato anche il cosiddetto “loss and damage” che avrebbe aiutato gli stati più colpiti dagli effetti del surriscaldamento globale.
Importanti le prese di posizione di Australia e soprattutto Brasile che vorrebbero gestire autonomamente le proprie capacità di assorbimento dei gas serra. In pratica il governo brasiliano si sente autorizzato a fare un bilancio interno tra produzione ed assorbimento di CO2 avvalendosi dell’enorme polmone verde della Foresta amazzonica. Volendo quindi tralasciare il comportamento giudicabile quantomeno “egoistico” del Brasile, si tiene a far notare che le emissioni di gas serra quali la CO2 impattano a livello globale; il che significa che le emissioni di uno stato possono avere effetti su Paesi che si trovano nel lato opposto del Globo (approfondiremo l’inquinamento ambientale nello specifico nei prossimi articoli).
Dei 196 paesi partecipanti solo 84 si sono impegnati con piani più vincolanti per le emissioni di gas serra entro il 2020, tra i grandi assenti Stati Uniti, Cina, Russia e India che da sole superano la metà delle emissioni emesse in tutto il mondo.
Rinviato quindi tutto alla COP26 di Glasgow del prossimo anno e grande amarezza per tutti coloro che credevano che quest’anno sarebbe stato diverso vista la numerosa partecipazione pubblica alle tematiche ambientali.
Sembra quindi che i governi non rispecchino la volontà dei popoli che li hanno eletti ma solo gli interessi economici odierni. Ci teniamo a sottolineare “odierni” in quanto l’era del combustibili fossili è al termine, siamo nel mezzo della terza rivoluzione industriale dove l’energia rinnovabile e l’internet della mobilità con veicoli ibridi ed elettrici diventeranno un volano che trasformerà l’economia e la società di questo secolo. I paesi che prima investiranno su questa nuova rivoluzione saranno i prossimi “padroni” del mercato, cambiare è ormai anche conveniente.
Aggiungiamo una nostra grafica realizzata ad hoc dal nostro collaboratore Francesco Prodi:
Vi invitiamo inoltre a leggere Emissioni Trading System, dove spieghiamo come funziona il mercato della CO2 promosso dall’UE (tema di discussione centrale in questa COP25).